GIANNI DE TORA |
CARTELLE /mostre collettive |
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1985 ''L'altra faccia della luna''- Galleria Comunale d'Arte Moderna, S.Severo (Foggia) 19 ottobre - 16 novembre |
TESTO DI MASSIMO BIGNARDI SUL CATALOGO DELLA MOSTRA |
L'ALTRA FACCIA DELLA LUNA L'altra faccia della Luna è il luogo lontano dei sogni: è l'isola mai trovata di Francesco Guccini, uno spazio dell'immaginario che permette alla mente di liberarsi. Un richiamo simbolico la propone come il cavallo nero di quel carro, a cui la cultura rinascimentale fa corrispondere la Luna. L'altra faccia della Luna è in sostanza il titolo più adatto e calzante a questa miscellanea di opere che pazientemente lo Studio D'Amico ha voluto raccogliere in una mostra, come espressione di un fermento di corale partecipazione artistica, sviluppatasi dietro le quinte ufficiali dell'ultima Expo Arte di Bari. Occasione partecipativa di ampie proporzioni, in un vivace dibattito costruito su minimi elementi, ricchi di fragrante spontaneità, di amichevole confronto su temi attuali: innanzitutto un liberarsi dalla condizione di ricercare formule selettive, facendo forza sulla immediatezza, sulla rapidità, senza essere ossessionati da quel volere imporre primati personalistici o di stilling condizionati dal mercato. Girovagando con lo sguardo tra i lavori qui raccolti, a una stima sommaria più di settanta, ci si rende conto come il dibattito artistico in Italia sia oggi vasto e strettamente ramificato, volgendo ora ad un recupero attento delle pratiche pittoriche, manualità che ho più volte sottolineato, in modo particolare per le giovani presenze. Si noterà pure come siano presenti scorie di una vecchia tradizione, ancorata alla centralità della figura ben dipinta, come sottolineatura di avvertenze sentite come parti fondamentali della cultura italiana e per esse le «belle maniere del dipingere» la realtà apparente. È evidente come sia impossibile, in questa breve introduzione, parlare dei singoli lavori e questo per rispettare lo spazio affidatomi e per non cadere in giudizi critici, ristabilendo scale di valori che fanno perdere all'intera operazione la freschezza dell'estemporanea. Togliere cioè a questi fogli il loro porsi come pagine di un taccuino, di annotazioni; promemoria per un diario che racconti le ansie, le gioie, i rancori, gli eterni attimi vissuti all'interno dei padiglioni. Più che altro un diario di lavoro, molto simile a quello che l'ar- cheologo raccoglie nelle fasi di uno scavo: è esso stesso uno scavo, interiore, nelle profondità della coscienza, come possibilità cioè di entrare nel magma incandescente di una fertile situazione, ricca di accensioni di linguaggio, di attraversamenti memoriali. È la metafora della lingua, con i suoi dialetti, persi in un rigolo di innumerevoli «parlate locali»: è l'altra faccia dell'Expo. È quella «lingua» che pulsa come collante di un puzzle, di un mosaico la cui vera luce è data solo dall'unità di tutte le tessere. In definitiva questa mostra è proprio l'altra faccia, quella reale, dell'Expo: è il sogno nascosto che l'ufficialità, con le sue regole, i rigidi schemi, le perimetrazioni di padiglioni costruite su «scalette» di valori, il più delle volte solo presunti, ha da anni abbandonato di rincorrere. È per metafora «l'isola mai cercata». L'invito a fomezzarvi, proposto da Crispolti sulla parete di Antonio Fomez, è forse l'elemento chiave per una lettura dell'intero brogliaccio di appunti e disegni qui raccolti. È lo spirito della festa che permette l'happening liberando l'immaginario, dal monologo privato dello studio, al confronto e all'apporto del «collettivo». Ma le firme sottoscritte su quella parete sono anche la metafora ironica di una società adagiata sul piacevole sofà di mode non sempre aderenti alla realtà del quotidiano: una società imbrigliata, che fa della firma il look del proprio essere. Questa mostra non è, tantomeno era nei programmi dello Studio D'Amico, di farla assurgere a rassegna o ricognizione di lavori in corso: è essa in ultima analisi la prova di un ritrovarsi, un partecipare con vena goliardica alla festa, nella convinzione che l'appuntamento annuale dell'Expo non è solo un momento dell'effimero, al quale il tempo presente ci ha abituati. È la nuova coscienza storica assunta dall'artista, quell'essere cioè provocatore di situazioni, detentore di crescite culturali, sviluppando uno scavo profondo nella propria realtà che è incontro e confronto con l'esterno, nella prospettiva di superare le distanze tra centro e periferia, nell'avvertenza che il dibattito culturale, in modo particolare quello artistico, vive da anni un suo reale decentramento. È una sollecitazione a nuovi attraversamenti creativi, un invito a calarsi nel terreno fertile della storia presente, cercando di superare il confine della solitudine che attanaglia l'uomo contemporaneo, tornato in questi nostri anni ottanta nelle pareti domestiche, al privato, al soliloquio. Nel buio della notte apre il cassetto dei ricordi; un decennio riassunto sulla retina della memoria, sognando «l'isola mai trovata ». Oggi è solo, tra i codici tecnologici, tra gli slogans e le parole d'ordine, nei ritmi che spesso «non capisce» ma ai quali si è adeguato. |
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